BLEDAR HASKO IN IL BUIO ALLA LUCE DEL SOLE
Si inaugura giovedì 9 giugno 2016 alle ore 17.00 la mostra Bledar Hasko Il Buio alla Luce del Sole Testi Critici di Ugo Piscopo e Marcello Francolini presso lo spazio Movimento Aperto Napoli. La mostra resterà aperta fino al 30 giugno. In mostra le foto che Bledar Hasco, giovane giornalista di nazionalità albanese, ha realizzato recentemente vivendo nel campo profughi di Idomeni ,nella penisola balcanica, in territorio macedone, che solo qualche giorno fa è stato smantellato. Come scrive Ugo Piscopo nel testo introduttivo alla mostra : Nella luce piena di un giorno estivo, non turbato da tempeste o da altri avversi fenomeni atmosferici, tutto l’esistente materializzato non può non essere esposto al sole. E su questo saremmo pronti a giurare, che è così, che non può essere diversamente. Invece, è diversamente nel mondo attuale e sotto i nostri occhi in Occidente, dove in piena esposizione alla luce del sole resistono, anzi minacciano di dilatarsi e di crescere a montagne, irriducibili, intransitive, consistenze di tenebra. E’ la tenebra che sfida la meridianità, che anzi, alla maniera dell’antimateria che divora la materia, incombe sulla storia, sulla civiltà, sui valori pronta a fagocitarli. E sarà, nel caso che la minaccia abbia successo, la fine, cioè il ritorno ai primordi. Il cerchio rischia di chiudersi. Sarà un ritorno a quando si avviò il processo dell’autoconsapevolezza umana, fondata sulla presa d’atto che si era “pura e semplice carne” esposta, tra l’altro, agli assalti dei predatori, in particolare dei leoni, come sostiene David Quammen in “Alla ricerca del predatore alfa” (ed. Adelphi). Anche oggi, nel nostro soffertamente amato Occidente sembra che si venga allargando a slavina l’autoconsapevolezza che si è nient’altro che “pura e semplice carne” esposta ai predatori affamati. E, nel nostro immaginario eccitato dalla paura, ci fingiamo che i predatori affamati siano i migranti. Che dovremmo accogliere, dice Habermas, non tanto in nome dei valori, quanto in nome dei loro diritti. Invece, li guardiamo soltanto come masse in fuga che ispirano terrore. E, per sovrappiù, scarichiamo tutta la responsabilità di questo stato di cose sui governi. I quali, purtroppo, hanno gravi responsabilità nell’affrontare i problemi con lentezza, tortuosità, contraddizioni, come si registra all’interno dell’area dell’U. E., dove si è perfino disponibili a finanziare Stati terzi, perché si facciano loro carico di alleggerire e magari risolvere le difficoltà. Perché risulta naturale che siano gli “altri” a vedersela con gli “altri”. Ma la delega sia ai governi, sia agli “altri” è soluzione che non funziona. Che, anzi, mette a nudo la disumanità, baratrale, travolgente, che fermenta e cresce dietro la facciata della nostra umanità. All’aspetto e alle proclamazioni dei diritti e dei valori, ci inventariamo tutti sul registro di esseri umani, di cittadini che si riconoscono come portatori di diritti e di doveri in fatto di uguaglianza, di libertà, di fraternità. Ma tutto questo va bene, finché ci torna comodo nelle recite e nelle pratiche, che avvantaggiano noi altri, come privilegiati. Nel momento, però, in cui siamo chiamati alla prova della condivisione con gli altri delle loro sventure (fame, violenza, persecuzioni, guerra, povertà), ci precipitiamo a impiantare reticolati, a sbarrare le frontiere, ad alzare muri, a mobilitare truppe di difesa del suolo nazionale. Esemplari sono le terribili scene di Idomeni, nella Penisola Balcanica, in territorio macedone, dove il flusso di migranti, dalla Siria, dall’Afghanistan e da altre terre devastate e in via di ulteriore devastazione, è stato bloccato. Ogni giorno i giornali, le tv, la radio, ne parlano. Qua, adesso, ci giungono questi scatti in diretta di Bledar Hasko, che è andato a documentarsi sul luogo. Egli ha, con finezza di intuito, distribuito l’insieme degli scatti lungo l’arco di un giorno, che naturalmente va dal mattino alla sera. Sotto tale aspetto, ci aspetteremmo di vedere in sequenza, dopo le pallide luci mattinali, l’accendersi della luce piena nel corso della giornata, fino al suo stemperarsi col tramonto. Invece, l’intera vicenda della giornata si assorbe in un triste pallore crepuscolare, sempre identico a sé stesso e al proprio squallore. Il giorno non c’è. come non c’è l’aurora, come non c’è la sera. C’è soltanto un giorno che non è giorno, c’è solo un ambiente straniato, irriconoscibile, fuori della storia e del bene e del male. E’ il limbo degli esseri umani, a cui si nega il diritto fondamentale di vivere e muoversi in un mondo umano. “Questi”, potremmo dire parafrasando Dante, “non hanno [neppure] speranza di morte”. Mentre Marcello Fracolini tratteggia la figura di Bledar Hasko nasce a Gjirokaster il 16 settembre 1982. Nato tra le case di pietra che si estendono concentriche attorno ad un colle, dove in cima un castello si estende per millecinquecento metri, Bledar non poteva che sviluppare una geografica consapevolezza nel guardare il mondo. In una città riposta a valle di un abbraccio di montagne la vista impone uno sforzo immaginativo ulteriore, come avendo davanti la siepe leopardiana. A 17 anni pubblica una raccolta di poesie. Questo evadere oltre fino al mare dell’Adriatico lo porta in Italia a diciannove anni. Arriva a Salerno, dove per un anno frequenta la Facoltà di Economia, ma l’amore per la letteratura si ravviva e decide di iscriversi alla Facoltà di Lettere e Filosofia. Inizia il legame con la famiglia Francolini, Mauro, Antonella e Marcello. Con quest’ultimo fin da subito nasce un’intesa naturale come il ciclo dell’acqua dal mare al cielo e viceversa. Nasce l’esperienza del gruppo teatrale La Famiglia, la casa Francolini diviene non solo casa, ma covo di stimoli capaci di dare sfogo a quella già posseduta voglia di oltrepassare “la siepe”. Alla naturale propensione per la scrittura, con il teatro affiora l’amore al racconto della realtà. Inizia così la sua carriera giornalistica che lo porta a maturare esperienze parallele nell’ambito della carta stampata, della televisione, del foto-giornalismo e del web. Bledar Hasko è per tutto un uomo della strada, vorace di raccogliere i fatti del mondo, ma da una posizione ravvicinata, per non perdere nulla delle sensazioni che ne esalano: odori, rumori, vocii e sguardi. Il suo autore preferito, che è anche protagonista del suo lavoro di tesi, è Curzio Malaparte, da cui in ultimo eredita l’amaro sguardo verso l’estremità dell’essere. Tutto ciò si incontra nello spazio della Fotografia che è diventato il mezzo più chirurgico per entrare nella carne dei fatti. La fotografia è occasione di incontro diretto, di scambio, di pensieri che intercorrono tra gli scatti. È infine l’occasione prediletta per conoscersi con il corpo, quello stesso corpo che è poi il CorpoComune, pensiero artistico che ancora nasce dal covo Francolini.
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