La signora che parlava “italiano”

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La signora che parlava “italiano”

“Nicolò, corri vieni qua, Nicolò”. La sua frase più ricorrente, la frase che diceva tutto, l’unico vero amore della sua vita. Era successo tutto molto in fretta, una guerra, un periodo di crisi, il trasferimento a Napoli con la famiglia. Torino è lontana adesso, per le strade dell’assolata città tanta gente, qui c’è il profumo del mare, il profumo della vita. Poi la guerra.

Nessuno ricorda come si fossero conosciuti, o forse nessuno gliel’aveva mai chiesto ma Michele era un bell’uomo, un uomo d’affari d’altri tempi, con il suo lungo cappotto e il suo Borsalino. Arriva con la sua Balilla quando la maggior parte delle persone gira ancora con il carretto. E’ un uomo tutto d’un pezzo, ha combattuto per il Re nella Grande Guerra e con poche parole conquista la bellissima giovane venuta dal nord. Lei è molto più giovane di lui, quasi 20 anni, ma la cosa non spaventa nessuno, Michele è già stato sposato, sa cosa significa il matrimonio, ha già un figlio, ma questo non lo ferma. E’ amore, quello autentico. Michele è compagno amorevole, ma è anche un po’ genitore e forse Giuseppina lo ha sposato anche per questo. La giovane è felice, lascia tutto, la famiglia, la grande città, il benessere familiare e si trasferisce in un piccolo paesino, su una strada, vicino alla stazione dove una chiesa, una taverna e un distributore di carburante sono le cose più in vista.

“La signora parla strano”, “ma addò ne vene?” furono i commenti iniziali ma poi, la solarità, la bellezza, il sorriso ebbero il sopravvento e, ben presto quella “parlata strana” diventò familiare e il fatto che la “Signora” si permettesse di fumare in pubblico, vestisse sempre alla moda, non avesse mai un capello fuori posto, passò in secondo piano. Era diventata “l’amica di tutti”. Casa sua era un viavai di giovani che giocavano, dormivano, imparavano, mangiavano, e guardavano la TV, la prima di tutto il paesello.

Sembra una favola ma non è così perché Giuseppina non aveva fatto i conti con la cattiveria pura, quella che proviene dalla famiglia, quella che venne fuori quando disse a tutti che aspettava un bambino. Michele aveva già un figlio, della stessa età della giovane moglie, come si sarebbe divisa la proprietà, chi avrebbe gestito quella IMMENSA ricchezza?

Giuseppina non percepisce il pericolo, è amata da tutti, non si aspetta colpi bassi. Tuttavia le serpi stanno crescendo in casa sua, perché l’avarizia e la brama di ricchezza seppelliscono qualsiasi legame, anche quello di sangue. E allora, per i familiari di Michele, il bimbo che porta in grembo Giuseppina non deve assolutamente nascere, si spera in un aborto naturale, visto che la donna ha già 36 anni, ma nulla, il bimbo cresce forte e sano nella pancia della mamma. Allora va ordito un complotto, un modo per far morire quel bambino, un’imboscata. Una notte, un gruppo di serpenti, con lo stesso cognome di quel bambino che avrebbero dovuto accudire, proteggere e aiutare a crescere, l’aspetta al buio, in quel cortile che doveva essere un riparo, saltandole addosso alle spalle. Pugni schiaffi ma soprattutto tanti calci nella pancia, perché quel bambino che avrebbe diviso la ricchezza doveva morire là, quella sera stessa. Tanti calci, sangue e urla, che nessuno ascoltò, o che nessuno volle ascoltare. E così questo agguato vigliacco lasciava a terra una donna esanime, in una pozza di sangue e il bambino in grave pericolo. Per sicurezza, i coraggiosi aggressori delle tenebre la prendono e la gettano, senza pietà, nella stalla dei porci, affinché quel sangue facesse da richiamo per gli animali e, essendo tanto affamati, potessero finire, finalmente, quello che vigliaccamente avevano iniziato uomini piccoli come granelli di sabbia, incapaci persino di chiudere la partita iniziata poco prima.

Tuttavia avevano fatto male i conti col coraggio e la forza di Giuseppina, una donna che non aveva esitato, pochi anni prima, a gettarsi davanti ai fucili di soldati tedeschi intenti a fucilare dei ribelli, regalando poi loro un maiale per placarne l’ira e, soprattutto, la fame. I maiali, spesso ritornano in questa storia, ma c’è un’immensa differenza tra maiali e porci.

Torniamo a noi.

Giuseppina raccoglie le forze, mentre i maiali avanzano pericolosamente, si alza in piedi, col sangue che le esce dal naso e dalla bocca, con il resto che le scorre sulle gambe e si avvicina alla porta. Nulla, è sbarrata, ed è troppo debole per poterla forzare, e allora urla, urla con tutta la forza che ha in corpo “aiuto! aiuto, per l’amor di Dio aiutatemi!” per la prima volta una voce disperata, non quella serena e pacata della “signora venuta dal Nord, che parlava ‘italiano’ ” che aveva incantato per anni gli abitanti del piccolo borgo con lo Scalo ferroviario. I maiali, gli animali nella stalla, non i porci che l’avevano ridotta in fin di vita, si avvicinano minacciosamente attirati dall’odore del sangue e dalla paura.

Le gambe tremano, la sudorazione aumenta ma, in quel momento, quando tutto sembra perduto arriva un “click” che sa di miracoloso. La barra di legno che blocca la porta si alza, si apre. “Michele, sei tu? Grazie per essere venuto, grazie!”. “No signora Giuseppì, non sono on Michele, sono Maria, ascit a for, svelta, che qua puzza e questo posto nun fa pe vuie, non fa bene al bimbo”. Era Maria, la governante, giovane donna cresciuta in casa, quasi una figlia. E’ piccola, minuta, magra, mentre Giuseppina è una donna alta oltre un metro e settanta, nonostante tutto la fa appoggiare e la porta su: “andiamo a casa, svelta e speriamo che non ce ver nisciun”.

“Mi hanno rubato pure la borsa Maria! La borsa con tutte le cambiali, con tutti i soldi che mi devono!” “Nun fa niente, signò, mo’ iamm ncopp, che qua è pericoloso, se ci vedono c’abbusc pure io”.

E così tornano a casa, due rampe di scale grigie, il robusto portoncino di legno si apre. Giuseppina redarguisce Maria: “Michele non deve sapere niente di questa storia, sono suoi familiari, stiamo già vivendo un momento difficile con l’azienda, tanto torna tra 3 giorni dalla Puglia, i lividi scompariranno, promettimelo, adesso”.

E così quel triste episodio morì quella sera stessa, senza che nessuno lo ricordasse, tranne loro due.

Da quel giorno, in quel modo, una mamma votò la propria intera esistenza ad un figlio.

Il bimbo, Nicolò, si era salvato e oggi ha figli e nipoti e una mamma che ancora lo protegge, da lassù.

Giuseppina, l’amica di tutti, la signora venuta dal nord che parlava “italiano”.