Per un pugno di click
Manuale del lettore informato nell’era dei social network
Negli istanti immediatamente precedenti il primo duello in assoluto della storia degli “spaghetti western” Clint Eastwood pronuncia la mitica frase a Filipero “prepara tre casse”. Era l’inizio degli anni ’60 e Sergio Leone cambiava per sempre la storia del cinema con Per un pugno di dollari. Un titolo emblematico che attirò al cinema milioni di spettatori desiderosi di evadere dal quotidiano, pronti a cercare refrigerio nel selvaggio west cinematografico. Ebbene, proprio come Joe decide di vendersi, per un pugno di dollari, alle due famiglie rivali nel film di Sergio Leone, così l’informazione ai tempi del social decide di vendersi Per un pugno di click. Provo a spiegare meglio come funziona la nuova legge non scritta dell’informatore moderno che può, attraverso internet, mischiare abilmente l’informazione con la pubblicità, in un’apologia dell’opinione che si trasforma, nel migliore dei casi, in una parzialità non dichiarata e nel peggiore in un evento da social network.
Facebook, Twitter e Google Plus riescono a mobilitare centinaia di informazioni, personali o meno e la nuova informazione non poteva rimanerne indifferente. Anche i grandi sistemi informativi si sono dovuti adattare al vincolo temporale che internet (e ancor di più i social network) impongono e così il senso dello scoop che un quotidiano poteva dare va a scontrarsi con le migliaia di siti che anticipano il tutto, il telegiornale delle 20 su quello che un tempo era il Primo Canale, viene sempre più soppiantato da Repubblica.it, Ansa.it, Gazzetta.it, dall’App di Tgcom, o magari soltanto dai bravi giornalisti di SkyTg24, in diretta sempre e comunque. Ma certo, se fosse solo questo, non si potrebbe rimproverare all’informazione di aggiornarsi in tempo reale. Si pensi allo sport e all’ormai rimpianta Serie A di Calcio di un tempo, quando si attendevano le 18 della domenica per vedere Novantesimo minuto con tutti i gol in un’oretta. Ormai l’informazione è in tempo reale e l’utente è anche disposto a pagare per vederla. Fin qui tutto bene (proprio come nel film L’Odio di Mathieu Kassovitz in cui Hubert dice: “Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di 50 piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all’altro, il tizio per farsi coraggio si ripete: <Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene. Fino a qui, tutto bene.> Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio.”. L’atterraggio di questa assurda vicenda in cui è caduta, come vittima e carnefice, la nostra informazione è quello di dover ottenere dei clic sui propri portali per ottenere pubblicità. Per fare in modo che i naufraghi del mare di internet, tra malware e popup, decidano di cliccare sulle loro pagine i moderni giornalisti, figli del copia e incolla, (e magari anche di una buona donna) decidono di condividere il link che contiene la pagina con la notizia da leggere con tanto di titolo e immagine collegata. Qui entra in gioco la nuova tecnica che tanto attanaglia il lettore che si trova alla base della piramide del sapere incagliato tra informazione e scorrettezza di chi ha necessità di aver quel pugno di clic in più del blog rivale, affinché l’imprenditore di turno possa dargli il pane per altri 20 giorni.
Come attirare il naufrago medio del mondo dei social network? Promettendo di dargli qualcosa in più, un po’ tipo il 3×2 al supermercato, o la raccolta punti dei distributori di benzina. Come può la stessa notizia attirare più lettori possibili? Con due sistemi: uno che riguarda l’immagine da allegare all’articolo, spesso fuorviante e fuori luogo, e l’altro che riguarda un titolo generico, falsato, tagliato e perché no anche esagerato. Così quello che su un quotidiano locale che si rispetti sarebbe stato un banale tamponamento, sul nostro portale di pseudo notizie diventa tutt’altro. Proviamo ad immaginare che il titolista del Corriere di Roma possa aver trattato la notizia così “Paura per un incidente in Via Napoli” con un occhiello che racconti “Il tamponamento è accaduto alle 13 di ieri” e un catenaccio che continui: “Lievemente ferito l’autista della Fiat Punto”. A tutto questo, il giornalista che ha scritto con calma la notizia, avrebbe aggiunto nel migliore dei casi una foto dell’incidente, o magari una più generica della strada in cui è avvenuto. Sul link che ha bisogno di centinaia di clic per sopravvivere ancora un po’ la notizia diventa: “INCREDIBILE! Un ferito nell’incedente avvenuto in via…” con tanto di foto di un’auto capovolta. A quel punto anche il più avveduto dei naufraghi sarà portato a scegliere di cliccare, attratto dall’immagine, o magari dal titolo, o peggio ancora dalla parola “incredibile”. Qualcuno si chiederà quale sarà poi il contenuto dell’articolo. La risposta è semplice: poche righe scritte male, magari sbagliando i congiuntivi, confondendo palatali e dentali, dimenticando h e accenti qua e là. Eppure dal momento in cui il povero naufrago avrà cliccato, magari anche solo per curiosità, magari anche solo per dire che quell’articolo fa schifo, il nostro pseudo informatore avrà guadagnato il proprio pane quotidiano. Ma proviamo ad analizzare l’esempio di cui sopra: INCREDIBILE è l’amo a cui abbocca il nostro naufrago, ma può essere sostituito anche da ESCLUSIVO, ASSURDO, DA NON CREDERE, E’ SUCCESSO DAVVERO, e così via. Si tratta di una serie di parole che da sole descrivono la falsità della notizia. Se prendessimo un qualunque dizionario di lingua italiana, o magari anche solo se cercassimo sui vari dizionari online, il significato delle parole appena scritte ci imbatteremmo in una serie di spiegazioni che riguardano un qualcosa che poco ha a che fare con l’incidente in questione. Sul sito www.treccani.it: “incredìbile agg. [dal lat. incredibĭlis]. – 1. Non credibile, difficile a credersi. In che maniera il nostro banale incidente è difficile a credersi?
esclusivo agg. [dal lat. mediev. exclusivus, der. di excludĕre «escludere»]1. Che tende a escludere o ha forza di escludere: clausola e.; diritto e., che compete a una sola persona o ente, escludendo tutti gli altri dall’esercizio del diritto medesimo; modello e., lo stesso che modello in esclusiva. Riferito a persona, che afferma o giudica troppo recisamente, ritenendo buone soltanto le opinioni proprie e fallaci quelle altrui: non si può ragionare con lui, è troppo esclusivo. 2. Nella logica, proposizione e., la proposizione velatamente composta (equivalente cioè a due proposizioni) che attribuisce il predicato a un soggetto e a quello solo: per es. «non c’è che un Dio»; frase che equivale a due proposizioni: «c’è un Dio» e «non ce ne sono altri». 3. Sul modello dell’ingl. exclusive, riferito ad ambiente (circolo, club, ecc.) la cui frequenza è limitata a determinate persone, di solito a persone particolarm. agiate o raffinate. ◆ Avv. esclusivaménte, escludendo tutto il resto o tutti gli altri, in modo assoluto, solamente, unicamente: l’ingresso è riservato esclusivamente ai soci. …” qui ci si imbatte in ben tre significati diversi ma quello che ci interessa riguarda il fatto che la notizia del banale incidente su via Napoli il nostro cacciatore di click la sta spacciando per unica. Per rendere l’idea, nel giornalismo deontologicamente corretto, Esclusivo significa “che ho solo io”. Per parlare di Gossip ad esempio, le foto del matrimonio di George Clooney sono state vendute, in ESCLUSIVA, per la modica cifra di cinque milioni di dollari alla rivista Vogue. Il noto periodico potrà, senza ombra di dubbio, titolare: ESCLUSIVA, Tutte le foto del matrimonio dell’anno. Per non parlare di ASSURDO o DA NON CREDERE e via dicendo.. Peggio di tutte è la frase di apertura E’ SUCCESSO DAVVERO, come se si volesse dire tutto quello che vi hanno detto fino ad oggi era fantasia, ma questa no, questa è successa davvero.
Altri sceglieranno di cliccare per vedere l’immagine dell’auto capovolta trovata su Google Immagini e magari firmata con tanto di copyright come se appartenesse al sito. Qui c’è poco da commentare: l’immagine è falsa. Situazioni similari accadono con altre immagini, che spesso richiamano a qualcosa di sessuale, di più o meno spinto. Quasi sempre senza contenuti reali coerenti con quanto annunciato. Immaginiamo una foto di una giovane donna in costume e il titolo: “INCREDIBILE. Guardate cosa è accaduto a questa ragazza, ha preso..” Con questo titolo e quella foto chissà quale richiamo al sesso si immagina e magari ha ricevuto (preso) un premio, o ha contratto (preso) una malattia. Altri ancora potrebbero decidere di cliccare sul link per capire in quale via è accaduto l’incidente, o magari, se il titolo fosse stato ancora più cattivo, in quale città è accaduta la tragedia. Non di rado infatti si trovano titoli del tipo: “ASSURDO. Muore a 20 anni Antonio..”. In questo caso il nostro cacciatore di click ha giocato con la vita di un ragazzo nel tentativo sbilenco, ma magari riuscito, di far venire la curiosità di cliccare per sapere dove è accaduto e il cognome del ragazzo, d’altro canto chi non conosce un Antonio?. Si potrebbe continuare a lungo con esempi anche di quotidiani importanti che si sono aperti ai social network. Per esempio alle ore 20 del 2 ottobre 2014 un noto quotidiano nazionale, attraverso il suo profilo facebook pubblica questo link:
Qualora il nostro naufrago decida di cliccare troverà un titolo:
Incredibile!
Non sa di avere un tumore al seno fino a quando il suo cane…
Per poi leggere un articolo che nell’incipit recita:
“Scopre di avere il cancro al seno grazie al suo cane che le salva la vita. Allison Powell da qualche mese aveva notato una strana attenzione da parte del cane verso il suo seno sinistro. L’animale sfregava ripetutamente il muso sempre nello stesso punto, così Allison si decise a fare una visita. Alla 48enne londinese è stato diagnosticato un cancro della mammella in stadio precoce. «Credevo volesse solo attirare la mia attenzione», racconta la donna parlando del suo labrador…”.
Ovviamente l’esempio citato serve solo a ribadire, una volta ancora, che si può essere fuorviati da titoli e immagini utilizzati da chi è in cerca di clic con un sistema che di per sé non può essere condannato, ma che necessita una maggiore consapevolezza da parte di chi naviga su internet ed in particolare utilizza i social network.
Quali consigli dare ad un utente medio? Questa è una domanda da un milione di dollari, ma se c’è un dato di fatto che la comunicazione moderna ci ha insegnato è quello di non credere agli specchietti per le allodole. In pratica potrebbe essere una buona consuetudine non lasciarsi attrarre da titoli troppo esagerati, ma non precisi, da foto poco chiare. Solo non cliccando su link che rimandano a notizie poco circoscritte, talvolta poco precise, peggio ancora che tendono a sfruttare tragedie, si può provare a far ritornare la deontologia giornalistica a quello che sarebbe se solo questo mestiere non fosse in balia di tutti. Certo attira meno “Paura per un incidente in Via Napoli” che non “INCREDIBILE! Un ferito nell’incedente avvenuto in via…” con tanto di foto di un’auto capovolta. Eppure va detto che non ci sono vie di mezzo: il lettore è chiamato, più che mai oggi, a selezionare, e, atto ancora più complesso, a selezionare prima ancora di leggere l’articolo o meglio di cliccare sul link che apre la pagina che permette di finanziare il sito. A tutto questo va aggiunto anche che in genere un portale che tende a cadere in tale sistema è recidivo e, pertanto, qualora si riconosca il sito, come quello che in una precedente occasione ci ha mostrato una notizia falsa, falsata, tendenziosa o anche solo strana, magari ovvia, già sentita o già vista, è forse il caso di evitare di ricadere nel tranello, di evitare di aprire la pagina a cui è collegato il link. Solo in tale maniera, con un numero di clic limitato o pari a zero, il giornalista o il direttore che si nasconde dietro quella pagina potrà scegliere se chiudere il proprio sito o magari provare a seguire una linea deontologica maggiormente aderente al mestiere. A questo punto non si può non chiudere con una considerazione valida sempre e comunque, non fidarsi di chi non si firma, di chi non dichiara pubblicamente la propria identità e la propria storia, di chi fa parlare sempre solo una parte o di chi si scaglia sempre e solo contro un determinato personaggio o una fazione. Nessuno pagherebbe una bolletta ad un’azienda che non si identifica o leggerebbe un libro senza titolo, perché un lettore dovrebbe scegliere di finanziare senza volerlo, attraverso il proprio click, un notiziario scorretto?
Per concludere ancora in maniera cinematografica si dirà che Al Pacino, abilmente diretto da Oliver Stone e doppiato da Giancarlo Giannini in uno spogliatoio pieno di atleti da motivare dice: “Ogni maledetta domenica si vince o si perde, resta da vedere se si vince o si perde da uomini. (Tony D’Amato)”. Quando uomini raccontano storie di uomini dovrebbero dotarsi di onestà e buon senso, qualora un lettore si renda conto che ciò non sta avvenendo nel modo giusto, è il caso di evitarlo in futuro. Magari si sta vincendo la guerra dei click, ma non la si sta vincendo da uomini.
Ognuno insomma tenta di sopravvivere e proprio come in Alive, il film in cui i sopravvissuti di un disastro aereo si mangiano a vicenda, qui i cannibali della notizia la vomitano via in preda ad un anoressico cannibalismo che richiama alla tribalità. Tutto comunque per un pugno di clic, per una fresca condivisione del link da parte del naufrago di turno. Già perché l’aspetto più tetro di tale enorme rito è che l’ignaro navigatore, convinto di approdare nel continente della vera informazione, naufraga nell’isola di Alive in cui Per un pugno di dollari un falso giornalista ti vende, Ogni maledetta domenica, la sua naturale propensione al falso, al tendenzioso e all’esagerato.
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