VLADIMIRO BOTTONE PRESENTA “VICARIA. UN EDUCAZIONE NAPOLETANA” PRESSO IL PAN – PALAZZO DELLE ARTI DI NAPOLI

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VLADIMIRO BOTTONE PRESENTA “VICARIA. UN EDUCAZIONE NAPOLETANA” PRESSO IL PAN – PALAZZO DELLE ARTI DI NAPOLI

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Venerdì 20 marzo alle ore 17.00 presso la sala conferenze del PAN – Palazzo delle Arti di Napoli vi è stata la presentazione del libro “Vicaria. Un ‘educazione Napoletana “ di Vladimiro Bottone Edito dalla Rizzoli. Questa serata è stata curata da Incontri Napoletani il sodalizio fondato da Tina Giordano Alario in collaborazione con Linvea industria vernici e Giovanna Izzo Restauri per il V centenario della nascita di S. Teresa d’Avila, compatrona di Napoli e patrona degli scrittori e in occasione del restauro dell’effigie marmorea della santa presente nella chiesa di S. Teresa a Chiaia. Assieme all’autore intervengono gli scrittori Giovanna Mozzillo e Maurizio Ponticello vice presidente dell’associazione Napolinoir, il prof. arch. Massimo Rosi, esperto in pianificazione territoriale e consulente per il Governo per l’assetto e il risanamento dell’area metropolitana di Napoli e la storica e critica d’arte Filomena Maria Sardella. Modera la giornalista Carmela Maietta. Saluti introduttivi di Patrizia Giordano, presidente Incontri Napoletani. Completano gli interventi le letture di Lucia Stefanelli Cervelli, regista, attrice, autrice di numerosi testi teatrali e le fotografie di Umberto T. Vocaturo sono un atlante della memoria, dove il presente e il passato si confondono in una linea d’ombra, nella malinconia di un segno. La sua espressione diventa una favola dei colori e le tracce di una linea lieve, sinuosa, avvolgente tentano di tenere desto. Nell’artista si denota una scrittura senza concessione letteraria. Le sue fotografie raccontano questo grande amore per una Napoli che con il suo linguaggio tende al futuro ma con uno sguardo al passato, che con virtuosi giochi di luce e, soprattutto, di ombre ci restituisce la Napoli tufacea, labirintica raccontata con grande sensibilità letteraria da Bottone. Complice anche le straordinarie quinte fornite dall’ex Real Albergo dei Poveri, questo corposo edificio tardo barocco, nato con l’idea megalomane di risanare le sette piaghe della Città, vero terzo protagonista del romanzo. E’ uno dei comparti urbani del centro storico di Napoli quarta municipalità, oggi incluso nell’area del definita patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO.

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La situazione urbanistica di questa sezione presenta forte connotazione popolare, su cui prevalgono ancora aperte le indagini storiche circa la fondazione di Castel Capuano per quanto mantenga il nome del suo antico agglomerato urbano oggi meglio conosciuto col toponimo di Vasto, corruzione del più antico aggettivo di ”Guasto”. I fogli del catasto 1971, 1972 e 1973 in custodia al Comune di Napoli rilevano che la Vicaria come quartiere era esteso ben oltre gli attuali confini sfociando più volte nel quartier San Lorenzo, arrivando fino all’antica Strada dei Fossi, l’area della chiesa dei Santi Apostoli, San Giovanni a Carbonara e piazza San Francesco a Porta Capuana. Comprende la zona orientale della città, che nella sua quasi totalità è stata ricostruita dal Risanamento del prefetto Castelli ed inglobato nel riassetto del PRG del 1925 ed infine interessato dalla sola azione del riordino dell’assetto urbano moderno ad opera della gestione commissariale di Pietro Baratono.

Quindi, in alcuni punti, si è spinta in direzione del centro antico, assai oltre il secolare limite fisico imposto dal Borgo Sant’Antonio Abate, estendendosi dalle prossimità del Reclusorio di Piazza Carlo III a quelle di Santa Caterina a Formiello di Porta Capuana, fino anche alla Duchesca e San Pietro ad Aram e tutte le fortificazioni che avvolgono la città restaurata dal programma di riqualificazione, col trauma più vicino segnato dallo sventramento dei quartieri bassi al Pendino, Porto e Mercato e le piccole chiese chiuse di Sant’Onofrio a piazza Enrico De Nicola, di San Felice in Pincis in via Muzy e Sant’Antonio in via Oronzio Costa.  A nord in essa rientrano le aree comprese dal Real Albergo dei Poveri fino a piazza Garibaldi compresa la Stazione Centrale; tutta quanta l’area della Arenaccia compresi il quartiere operaio e le bonifiche fino ai confini coi Comuni di Barra e Ponticelli e ad est fino al cardine greco-romano sui limiti fissati dal vico delle Zite ed il Vico degli Scassacocchi a Forcella.L’ampia parte della città costuita ad oriente del Borgo Sant’Antonio e della città della Duchesca è delimitato a nord dal vico Pergole e da via di San Francesco, a sud da via della Libertà, che fiancheggia la Stazione di Napoli Centrale, ad ovest da via di Sant’Anna a Capuana, corso Garibaldi e piazza Garibaldi già piazza dell’Unità italiana e ad est dal Corso Occidentale già via dell’Arenaccia. Fino all’interno del tessuto edificato, nei territori detti delle Paludi napoletane, ai confini col quatriere napoletano di San Pietro a Patierno, segnato dalle strade comunali Cupa Carboni e S. Pio, la strada provinciale delle Puglie a sud e la strada comunale Nuova del Campo di Marte e le strade vicinali Piazzolla e strada Cannola o anche detta Connola o Cunnola. All’apice di questa strada si riconoscono il passaggio della ferrovia, l’acquedotto Bolla e più a sud le industrie tessili napoletane poi diventate le famose Manifatture Cotonerie Meridionali, fatte sparire nelle ricostruzioni del quartiere dopo il sisma del 1980 che interessò anche la zona all’apice della strada della Connola e del suo nuovo quartiere popolare. Su tutto quanto il comparto, il territorio è morfologicamente molto articolato per la presenza della colline di Capodichino e di Poggioreale; parte di essa si volge al di là del Muro Finanziere, attraversato dalla lunga strada a fascio di Santa Maria del Pianto aperta dall’ingegnere delle Acque e delle Strade Giordano, negli anni in cui si diede sistemazione all’area del Camposanto di Napoli. La masseria di San Pio non esisterà mai più per l’esproprio delle terre messe a fondazione della Tangenziale di Napoli che l’attraversa, mentre anche se assai trasfornmate continuano a vivere le masserie Aquarolo, Basso, Marinelli e Cimaglia.
Sussistono in questa zona i quattro nuclei cimiteriali di Santa Maria del Pianto, il canmposanto delle 366 fosse, il camposanto degli appestati del 1836, dove avrebbe trovato sepoltura Giacomo Leopradi, ed infine il cimitero dei Protestanti.
I corsi d’acqua Rivo delle Bocche Aperte, il Leutrek ed il Canale di Poggioreale. Ed infine all’interno di questo comparto afferente la Vicaria sono presenti il tracciato ferroviario Napoli-Roma, la vecchia ferrovia dei Borbone che un tempo aveva origine dal Corso Garibaldi e che portava a Capua non oltre. Negli anni cinquanta del ‘900 verrà quasi del tutto occupata da immobili ad uso industriale, la F.I.A.T prima di tutti, che cancellerà l’antico molino di Sansevero e tutta quanta la masseria dei Volpicelli.

Verrà poi densamente abitata da nuovo popolo per l’edificazione del Rione Case Minime costruite nel triennio 1945-1948 sulla base di un piano generale scritto nel 1940 dall’Istituto Fascista Autonomo Case Popolari. In epoca fascista sul Corso Orientale diventato poi il corso Malta, sorgeranno nel 1928 la Centrale del Latte di Napoli e l’Istituto Alessandro Volta. Completato poi il tratto da questa zona fino a Poggioreale, entro il 1910 verranno edificate le strutture della fanteria dell’Esercito sul ciglio delle nuove vie, che dalla maglia interna all’Arenaccia, condurranno a piazza Carlo III, denominate poi via Colonnello Lahalle, via Generale Pignatelli e via D’Avalos e parte di via Foggia. Mentre per quanto riguarda il lato meridionale di piazza Nazionale, per quella data è ancora segnalata sulla zona la presenenza del mercato ortofrutticolo. Un incontro a più voci, un omaggio all’esplosivo potenziale narrativo della Napoli del XIX secolo, che ruoterà non solo su “Vicaria”e sulla letteratura in senso stretto, ma si estenderà anche a quegli edifici e monumenti cittadini marginali rispetto ai circuiti turistici standard, oltre che largamente sottoutilizzati che aspettano solo di vedersi attrezzare come set dall’eccezionale carica suggestiva. Come ci dice Vladimiro Bottone : “Esistono in loco maestranze, sceneggiatori, attori, autori locali, di respiro nazionale, vere e proprie eccellenze, si pensi solo a Mario Martone e Antonietta De Lillo – spiega l’autore, napoletano ma residente da diversi anni a Torino – che si sono già cimentati in opere di taglio storico e ambientazione napoletana. Le ricadute in termini economici-occupazionali, di valorizzazione e diversificazione dell’immagine cittadina, sono ovvie – aggiunge – bisogna solo capire se ci sono, oppure no, i presupposti di minima condivisione per sviluppare e amplificare certi temi nelle tribune pubbliche a cui ognuno di noi, in un modo o nell’altro, è solito contribuire”.

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Il Libro

Il Real Albergo dei Poveri – detto anche dai napoletani Serraglio o Reclusorio – nell’Ottocento è il più grande edificio d’Europa. All’interno vengono rinchiusi centinaia di vecchi inabili, prostitute e, soprattutto, una gran massa di orfani abbandonati ed esposti ad ogni genere di abusi. In un crepuscolo del maggio 1841 flagellato dalla pioggia, il piccolo Antimo cerca di evadere da quell’edificio, autentica città nella città. Il bambino ha tutti i motivi per sentirsi in pericolo; infatti, è depositario di un segreto inimmaginabile che potrebbe segnare la rovina di alte cariche pubbliche e, addirittura, mettere a repentaglio lo stesso funzionamento dello Stato borbonico. La fuga del piccolo Antimo, però viene sventata dai sorveglianti del Reclusorio e si conclude tragicamente per lui. Nel suo cadavere, senza vita né nome, s’imbatte Gioacchino Fiorilli, un ispettore della polizia borbonica che non ha ancora fatto l’abitudine al male e alla miseria che corrodono la città. Inevitabilmente il corpo del bambino, “bello della tremenda bellezza degli offesi”, si trasformerà per Fiorilli in un’ossessione di verità. In un’inchiesta che gli farà incrociare medici avidi di carne giovane, monaci ispirati che vendono le proprie visioni ai giocatori del Lotto, funzionari doppiogiochisti, giudici conniventi con il potere, camorristi e sbirri cresciuti nello stesso fango. Un’umanità eterogenea che, tuttavia, sembra ruotare intorno ad un unico asse: il tetro edificio della Vicarìa, tribunale e prigione della città, ma anche sede di quell’evento che i napoletani aspettano ogni settimana come la sola speranza di salvezza. “Era sempre alla Vicaria, che si svolgeva l’estrazione settimanale del Regio Lotto. Cosicché, durante quest’occasionale trasformismo, il tribunale svelava la propria reale natura e, insieme, un’atroce verità. Vale a dire che la Giustizia degli uomini agisce come una divinità bendata, proprio come la Fortuna. Ed è, quindi, perfettamente intercambiabile con quella”

“Il Reale Albergo dei poveri. Una cittadella autosufficiente, una città nella città. Un reclusorio, un ospizio di mendicità, un brefotrofio. Un ricovero destinato ai vecchi inabili, alle donne perdute e all’infanzia che si perderà. Per i napoletani è il Serraglio. Come a dire una specie di carcere. Un’opera mastodontica, nata con l’ambizione megalomane di risanare le sette piaghe cittadine; quasi da subito, però, si è aggiunta ad esse divenendone l’ottava. Ottava e ugualmente indistruttibile, come tutte le cose nate storte”.

Biografia di Vladimiro Bottone

Vladimiro Bottone è nato a Napoli e vive da diversi anni a Torino. Collabora con quotidiani (Corriere del Mezzogiorno, Corriere della Sera) e periodici (L’Indice dei Libri del mese). I suoi libri precedenti sono stati pubblicati da Avagliano e Neri Pozza.

Giovanni Cardone