La Capitale fa l’inchino all’ottavo Re di Rom

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La Capitale fa l’inchino all’ottavo Re di Rom

Come Casamonica si è guadagnato il Paradiso

Deve essere andata più o meno così: Vittorio Casamonica e suo figlio sono uno accanto all’altro. Vittorio è anziano ma lucidissimo e soprattutto è un uomo intelligente. Ha voluto lasciare la clinica dove era ricoverato perché uno come lui sa bene che questa volta non riuscirà a cavarsela. In certi ambienti nulla è lasciato al caso; neanche la morte. Quante volte Vittorio Casamonica si sarà chiesto come portare con sé un po’ di quell’immenso tesoro acquisito tra armi, droga, estorsioni, rapimenti, omicidi, occultamenti, gare d’appalto, immigrati, puttane. Ma nulla. Dall’altra parte proprio nulla, se non l’opportunità di poter lasciare la propria eredità. Ma torniamo indietro di quarant’anni: è troppo importante sapere cosa è accaduto prima per comprendere il quadro completo. 
Quando aveva lasciato l’Abruzzo non avrebbe mai immaginato una tale crescita. All’inizio ci si doveva difendere dai vecchi rom che stavano nella capitale, poi arrivò il momento giusto, l’adrenalina saliva a mille e con la paura nel cuore si preparava un attacco che li avrebbe decimati e resi innocui a lungo. Poi fu la volta dei vecchi romanacci, bravi ragazzi, ma per nulla organizzati. È bastato farne fuori pochi e assoldarne altri per tenere in mano un pezzo di Roma. Ogni volta lo sapeva bene di rischiare la vita. Ma, spavaldo e spudorato, con un po’ di intelligenza, sapeva che poteva cavarsela. Fu dura anche quando si doveva trattare con quelli della Banda della Magliana, loro avevano fatto irruzione nella malavita di Roma con il metodo mafioso e, soprattutto, appoggiati dallo Stato. Non bastava più lo slang rom. Era necessario avere quelle palle di cui gli raccontavano i vecchi nel campo rom in Abruzzo. Poi, man mano che quelli venivano presi o ammazzati, era necessario guardarsi le spalle e avere una squadra. Ma ormai il suo popolo credeva in lui. Anche quelli “articolo gabbio” stavano zitti. Lui era molto più che un boss: era il Re. Dopo i sette re c’era lui. Conquistatore e uomo di potere. Un potere che cresce di giorno in giorno quando sono i suoi uomini a fare il lavoro sporco per i politici. Senza dimenticare quella volta che in Molise si dovettero ridimensionare gli Spada che la droga la volevano prendere da Napoli. Si dovette intervenire dell’Alto, con l’operazione “supermarket“. Ne arrestarono 30. Con tangentopoli di tremò di nuovo, ma sempre per uscirne più forti di prima. Cambiavano gli interlocutori. Prima Cutolo a Napoli, poi gli scissionisti, in Sicilia si passava da Riina a Provenzano, i calabresi crescevano a Milano. Le brigate rosse, i Nar. Tutti passavano ma lui no. Sempre più forte, sempre più scaltro. Fino all’ultima geniale intuizione degli immigrati nella capitale, ma anche l’immondizia. Il tutto con una grande passione per l’archeologia. La sua villa è stracolma di pezzi unici che arrivano direttamente dagli scavi più importanti del mondo. Quando i Carabinieri ne hanno sequestrata una piccola parte, alcuni dei reperti archeologici non erano mai stati neanche catalogati. Gli stessi reperti che aveva voluto rivedere tornando dalla clinica.
Dei Sindaci che si erano susseguiti al Campidoglio lui se ne sbatteva. Era troppo potente. Anche il Vaticano gli doveva degli enormi favori. Era giunto il momento di passare alla cassa. “figlio mio – deve avere detto – dobbiamo dimostrare a tutto il mondo che gli uomini passano ma il nostro potere no. Dobbiamo organizzare un funerale che resti nella storia. Voglio una carrozza con dodici cavalli che portino la mia bara lungo la via Tuscolana. Devono venire tutti da ogni parte d’Italia e da fuori. Le esequie devono avvenire tre giorni dopo la mia morte, così che tutti abbiano il tempo di organizzare il proprio viaggio da ovunque. Chiama il dirigente dell’AMA affinché pulisca tutto subito. Chiama quello dei manifesti dei politici ci deve preparare un 6×3 con su scritto :hai conquistato Roma ora conquista il paradiso. Voglio la chiesa di Don Bosco. Dove non volemmo il funerale di quello dell’eutanasia. Quel senza Dio era antipatico. Chiama quel molisano dirigente dei vigili e digli che ti serve la scorta. Fatti dare dodici suv. E voglio quell’orchestra che aiutammo a suonare all’auditorium. Mi devono suonare la musica de “Il Padrino”. E poi voglio un elicottero che lanci petali di rose. Tutti dovranno parlare di noi e della nostra potenza. E alla fine il sindaco dirà che non ne sa nulla. Il questore altrettanto. Lo seguiranno i vigili, il parroco, quelli dell’orchestra, quello dell’elicottero, quelli dell’ AMA e perfino il fioraio. Sarà il nostro biglietto da visita per il futuro”.
Deve essere andata più o meno così. Non ci credo alla versione popolare della venerazione verso il re Casamonica. Dietro c’è un progetto preciso. Una volontà precisa di comunicare una continuità precisa di potere. I mezzi di comunicazione che si sono soffermati sulla vicinanza con Don Vito Corleone di Mario Puzo e Francis Ford Coppola hanno dimenticato di menzionare le centinaia di morti per droga, estorsioni e armi legate a lui. E se è vero che esiste una responsabilità sociale delle autorità corrotte, è altrettanto vero ognuno è responsabile per sé. Ogni membro di quell’orchestra, ogni chierichetto, ogni fioraio o vigile. Nessuno può dirsi libero davvero. Neanche coloro che durante i funerali di quel bastardo nazista sputarono sulla bara in nome di falce e martello e l’altro giorno hanno preferito non farsi guidare verso la Tuscolana.

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